Tre giorni malandato e dolorate sui sedili posteriori di una monovolume spiaggiata da qualche parte fra Cassinasco e Rocchetta Palafea.
Non ho più il fisico per certe cose.
Non ho mai avuto il fisico per certe cose.
Ma grazie al cielo la temperatura è crollata e in questo folto di gaggie non viene nessuno.
La macchina è andata, ma sono vivo, relativamente sano, e con un sacco di idee.
Quelle non costano nulla.
Una dieta a base di aspirine effervescenti, cioccolato fondente e succo d'arancio mi ha rimesso in piedi.
Si fa per dire.
Ho ancora le gambe doloranti e la schiena a pezzi, ma i crampi sono passati, come pure il tremito, e l'impressione di avere la febbre a quaranta.
In retrospettiva, non è stato difficile.
Sarebbe stato bello averci pensato prima.
Un idrante.
Una manichetta antincendio, di quelle chiuse nella gabbietta di metallo, col vetro segmentato.
Esiste poco di altrettanto letale quando ci sono dieci gradi sottozero, e il vento.
IN CASO DI NECESSITÀ ROMPERE IL VETRO
Parole sante.
Loro arrivano urlando.
Sparo un paio di colpi, sapendo che non ci sarà il tempo per ricaricare.
Poi dò mano alla leva dell'idrante.
E per pochi istanti, mentre le sagome si avvicinano, mi dico è andata, l'acqua è gelata nei tubi, la pompa è spaccata, non c'è carico, sono morto.
Poi le tubature emettono un gorgoglio profondo, che si trasforma in un ululato, un ruggito, un'esplosione, ed una colonna d'acqua maleodorante esplode dalla manichetta e investe i miei assalitori, li spinge indietro, li travolge, li ributta sul marciapiedi, insieme con fogli di carta, frammenti di vetro, sedie.
Avanzo lentamente, domandandomi quanto potrà durare.
Li innaffio per bene.
Sono a terra, l'alito come nebbia, gemono, sono inzuppati, il vento è tagliente sulla mia faccia asciutta, immagino come possa essere sulla loro.
Si muovono come al rallentatore, un paio stramazzano a terra.
Una ragazza coi brandelli di una camiciola da notte si appallottola alla base del muro e rimane immobile.
E poi via, di corsa.
Solo un paio mi stanno dietro, ma sono troppo malandati.
Uno è quello dall'aria troppo sveglia per i miei gusti.
Quello che, se devo credere alle mie impressioni mentre sfreccio lungo le strade deserte di Canelli, ha mandato gli altri avanti.
Vado verso sud, dove ho lasciato l'auto, verso Piazza Cavour, sapendo che nello spazio aperto l'aria sarà più fredda, il vento più forte.
Inciampo un paio di volte, rotolo a terra, mi rimetto in piedi.
La piazza - che poi sono tre, è un labirinto di carcasse d'auto e altri rottami.
Un gruppetto di gialli emerge da quella che poteva essere una banca, o forse un supermercato.
Questi sentono il freddo, ma sono ancora vispi.
Continando a correre, provo le maniglie delle portiere.
È una monovolume grigia che si apre.
A bordo, borse della spesa, una 24 ore, un cellulare.
Le chiavi sono nell'accensione.
Giro la chiave.
Niente.
Bestemmio.
Il motore si avvia con un rantolo.
C'è benzina nella macchina?
Sì, c'è benzina nella macchina.
Come diavolo sono arrivato fin quassù, in vista di Cassinasco, non lo so.
La corsa, il freddo e la paura mi hanno massacrato come bastonate.
Dolore alle gambe, alla schiena, alle braccia.
Rotolo sul sedile posteriore, mi stiracchio con un gemito.
C'è un plaid, di quelli che davano in omaggio dal benzinaio.
Mi ci avvolgo, e aspetto.
Del mio equipaggiamento, a parte la doppietta, tutto è rimasto a Canelli.
Comincia a nevicare.
Mi domando se ne uscirò vivo.
Poi mi addormento.
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