Manovre notturne

gennaio 21, 2011

La porta si apre attorno all'una, una lama di luce blu che taglia la stanza in due e poi si allarga a ventaglio, illumina i libri di Asimov, il poster del sistema solare, il computer, e poi torna a restringersi, escompare.
A questo punto ho già le forbici strette in pugno.
Un fruscio, un gemito, le doghe del letto che cigolano.
Un'esclamazione.
Accendo la lampada del comodino.
Ci sono probabilmente cose più ridicole di una giovane donna seminuda arrotolata lascivamente attorno ad un cuscino, ma al momento non mi vengono in mente.
"Non è un po' tardi?" le chiedo.
Il fatto è, vedete, che a me ormai i letti troppo morbidi generano una certa inquietudine - troppo facile sprofondare in un sonno troppo profondo, troppo facile non accorgerssise qualcuno si avvicina, troppo facile lasciarci la pelle.
Da un paio d'anni, avere un sonno leggero non è una cattiva idea.
Quindi, ok, grazie dell'ospitalità, ma da una settimana io qui dormo sul pavimento, fra il letto e la finestra dell'abbaino - che se qualcuno dovesse cercare di entrare da fuori, la prima cosa che fa è calpestarmi.
Clo cerca di darsi un tono.
Non è facile quando hai addosso solo delle mutandine di pizzo e sei impasticcata di brutto.
Però bisogna ammirare l'impegno.
"Se ti piace tanto," le dico, indicando il cuscino che stringe fra le cosce, "puoi anche portartelo in camera."
Lei mi manda affanculo e mi tira il cuscino.
"Forse è meglio se torni a letto," le dico.
Lei si tira su, in ginocchio al centro del materasso, e incrocia le braccia dietro alla testa.
Nel cono di luce della lampada IKEA, vedo che ha un tatuaggio vicino al caspezzolo sinistro.
Una lucertola.
E un carattere cinese sotto all'elastico dello slip.
"Non hai voglia?" mi chiede.
Ha la voce impastata, le pupille troppo dilatate.
Io penso solo a due numeri - quattro e sedici.
Gli anni di astinenza.
La sua età.
Potrebbe essere mia figlia.
Mi alzo in piedi.
"Non è questione di avere voglia o meno," le dico.
"Sei frocio?"
Beata gioventù.
"E non è anche questione di essere frocio, come dici tu," le dico.
Mi sento stanchissimo.
"Hai paura di Alf," dice, con un sorriso cattivo.
Alf.
Scaccio dalla mente l'immagine di questa ragazzina a letto col melmacchiano della TV.
"No," le dico. "Non ho paura di lui," mento.
"Il fatto è che non puoi buttarti nel letto di uno che non sai neanche chi sia..."
"Sei faina, quello di internet..."
Provo una grande tristezza.
"Non puoi saltare nel letto di uno e sventolargli le tette sotto al naso..." le dico, cercando di spiegare, "Non è così che funziona... Oscar Wilde sbagliava, non è solo un tappo e una bottiglia... non è solo godiforte..."
Fa un ghigno brutto, sguaiato. "Come se importasse a qualcuno," dice.
Perfetto.
"Ecco," le dico, prendendola per le spalle, ed accompagnandola alla porta senza che lei opponga resistenza. "Il fatto è che, qui, ora, a qualcuno importa."
E la chiudo fuori.
Mi sibila improperi per un paio di minuti, poi dà un calcio alla porta e se ne va.
Torno alla mia coparta sul pavimento, rimetto le forbici dove so di poterle trovare al buio, e spengo la lampada sul comodino.
L'apocalisse dovrebbe essere meno complicata.

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