Giorno di Natale 2015

dicembre 25, 2010

La comunità necessita di rituali per riconoscersi come tale.
E quale rituale migliore di un bel rogo di libri?



Il rogo di libri è un classico del totalitarismo, perché svolge più funzioni diverse -
  • Crea un senso di comunità. 
  • Identifica un nemico molto vago e plastico. 
  • Elimina le informazioni che - in un mondo neofeudale - fanno la differenza fra chi sta sopra e chi sta sotto. 
  • Rafforza l'idea che occuparsi di certe cose è sbagliato - e quindi, ancora una volta, rafforza la stratificazione fra quelli che sanno, e quelli che no. 
Che sanno cosa?
Mah, al centro dela piazza del municipio hanno ammassato tutto il contenuto degli scaffali scientifici della biblioteca comunale, incluse le enciclopedie.
E i libri di storia.
Tempo una generazione, e saper mettere insieme un mulino a vento o cambiare le candele ad una WolksVagen sarà il segno di appartenenza ad una élite.

Attorno alle undici della vigilia, le campane suonano e la popolazione viene riunita sulla piazza.
Viene distribuito cibo.
Zuppa di verdura, stufato di carne.
Panettone.
Il governatore raggiunge la catasta di libri, insieme con due delle sue donne.
Loro sono palesemente fatte, lui è compiaciuto e ben nutrito.
Legge l'ultimo messaggio arrivato via radio da Canelli.
I gialli sono ancora una minaccia ma i centri abitati sono sicuri.
Le scorte di cibo e medicinali crescono.
Il futuro è brillante.
And party on, dudes.

Viene appiccato il fuoco ai libri.
Un vetusto ghetto blaster comincia a suonare Last Christmas...

L'uomo con l'arma lunga deve morire, e deve morire per primo.
Quello piazzato sulla balconata del municipio perché se fosse rimasto sul campanile lo scampanio a festa l'avrebbe assordato.
Trenta metri.
Niente vento.
Con un arco più leggero o con una freccia più pesante, dovrei calcolare la parabola, ma con un 70 libbre è come scoccare a dieci pasi di distanza.
la freccia vola sopra la piazza, e inchioda l'uomo col fucile alle imposte del municipio.
La contrazione naturale del musciolo gli fa splodere un colpo, che rimbomba nella piazza sopra al crepitare del fuoco.
E il secondo uomo comincia a strillare, e casca a terra.

La punta da cinghiale è come un coltello a scatto montato su una punta d'acciaio.
La freccia da cinghiali non è fatta per passare attraverso il corpo del bersaglio - è fatta per penetrare, ed aprirsi come un ventaglio, due lame d'acciaio affilate come rasoi il cui solo scopo è abbattere e far morire alla svelta il bersaglio.
Si tira alla spina dorsale o, se possibile al cuore.
Se il bersaglio è un cinghiale.

Se il bersaglio è un idiota con un fucile d'assalto e senza la disciplina di un militare stagionato, si tira alla coscia.
Lo scopo non è quello di ucciderlo - anche se potrebbe capitare - ma di storpiarlo, traumatizzarlo, e fargli perdere un sacco di sangue, in modo che poi svenga, ma prima strilli un sacco.
Con settanta libbre di spinta, una freccia da cinghiali in una coscia passa da parte a parte, portandosi via un pezzo di polpa grosso come una palla tennis, e zeppo di schegge di femore.
Non bello, ma efficace.
Incocco e colpisco il terzo.

Sarebbe facile trovarmi ed abbatermi.

Sono in piedi sopra al tetto del vecchio albergo, anche un po' preoccupato perché col mio dolce peso le tegole potrebbero cedere da un momento all'altro.
Sarebbe facile localizzarmi.
Un arcere contro una dozzina di uomini con armi automatiche?
Vogliamo scherzare?
Ma hanno la luce del falò che li acceca, e i tetti per loro sono immersi nelle tenebre più assolute.
Ogni freccia lascia l'arco con uno schiocco simile a quello di una guida telefonica sbatuta con forza su un tavolo, ma Geoprge Michael e le grida coprono il suono.
Conto di avere cinque colpi, prima di dovermi spostare.

L'ultimo è per il governatore.
Abbaia, sbracciandosi, dando ordini confusi ai suoi uomini in preda al panico, mentre il rwesto della popolazione corre da tutte le parti.
Stringe un pistoone tanto vistoso quanto inutile.
Inspirazione.
L'arco è una corda tesa che congiunge il cielo e la terra.
Il legno si piega con un gemito.
L'arcere è la distanza che separa freccia e bersaglio.
Distolgo lo sguardo.
Non c'è freccia.
Non c'è bersaglio.
Scocco.

L'asta attraversa l'aria, supera la cortina di fiamme, e si conficca trenta centimetri più in alto di quanto avessi deciso, appena sopra la cintura del governatore, la cui voce si spegne in un rantolo, e poi lui si piega - pessima idea, deve fare ancora più male - spara uno due tre colpi.
Una delle ragazze drogate cade a terra con la testa sfondata da un proiettile.
L'altra scappa.
Il governatore è immobile.
Se non l'ha ammazzato la freccia, le possibilità sono buone che ci penserà la peritonite.
Poi gli uomini cominciano a sparare a caso, verso l'alto.
La notte si riempie di piombo, polvere d'intonaco e schegge di tegole.

Attraverso l'abbaino.
Giù per due rampe di scale.
Fuori dalla finestra sul retro.
Via per il vicolo.
Giro l'angolo e sbatto contro un ragazzino con un SC70 al collo più grosso di lui.
Mi guarda con gli occhi sgranati.
Siamo troppo vicini.
Il mio arco ed il suo fucile non servono a nulla.
Tenta di colpirmi col calcio.
Mi prende alla spalla, io ruoto col colpo, cercando di assorbire il colpo, cercando di ignorare il dolore, con la sinistra sfilo una freccia dalla faretra e con tutta la forza che ho in corpo gliela pianto fra la spalla ed il collo, a mano, come se fosse uno spiedo.
Poi lo stendo con una spallata e ricomincio a correre.

È ora di andarsene da questo paese di merda.

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